Benzina, Ferragosto bollente: Gasolio a 1,8 euro, la verde a 1,9

domenica 19 agosto 2012

Ferragosto bollente sulle strade degli italiani. E non solo per le temperature elevate. Gli automobilisti dovranno infatti fare i conti con gli ennesimi rialzi dei carburanti, dovuti non solo agli aumenti dei prezzi decisi dalle compagnie petrolifere, ma anche al ritocco a sorpresa sulle accise annunciato oggi dall'Agenzia delle Dogane. Per quanto 'mini' (0,51 centesimi compresa Iva), l'aumento si farà comunque sentire e si sommerà ai rincari già registrati questa settimana e in arrivo, secondo le stime della Confcommercio, anche nei prossimi giorni.

I prezzi sono saliti quasi costantemente nelle ultime settimane, portando oggi il diesel ad un nuovo massimo storico di 1,800 euro al litro nei distributori della Shell e la benzina ad un passo da 1,9 euro al litro. Nei distributori della stessa Shell il prezzo è infatti salito a 1,893 euro, seguiti a ruota da quelli della Esso, dove il prezzo consigliato è di 1,892 euro. E dire che a luglio proprio i carburanti avevano avuto un effetto calmieratore sul tasso di inflazione. Non sarà certo così ad agosto. Oltre ai rialzi sulla rete, legati all'aumento delle quotazioni internazionali dei prodotti finiti, da domani scatterà infatti anche l'incremento dell'accisa comunicato dall'Agenzia delle Dogane e pari a 4,2 euro per mille litri. Incrementi che si tradurranno in +0,51 centesimi al litro, Iva compresa.

Il rincaro, previsto dalla legge Stabilità 2012, il secondo quest'anno dopo quello di due centesimi deciso per l'emergenza terremoto in Emilia e il settimo dal 2011 ad oggi, genererà maggiori entrate per le casse dello Stato pari a 65 milioni di euro per rendere strutturale il bonus per i gestori carburanti e fare fronte alla riscossione agevolata delle imposte nelle zone terremotate dell'Abruzzo. L'aumento ha già scatenato l'ira dei consumatori. Adusbef e Federconsumatori lo definiscono "una vera e propria sciocchezza" che deprimerà ulteriormente i consumi, mentre il Codacons parla di "un furto con destrezza, destrezza dovuta al fatto che la decisione vergognosa ed irresponsabile è stata tenuta ben nascosta fino ad ora". L'aumento, calcola l'associazione, inciderà per circa 7 euro l'anno ad automobilista.

L'impatto sarà quindi in fin dei conti limitato ma i consumatori non digeriscono la decisione in sè: "è scandaloso - prosegue il Codacons - che il Governo, dopo aver tassato tutto tranne l'aria che respiriamo e aver promesso agli italiani e alle forze politiche della sua maggioranza di non voler introdurre nuove tasse o fare manovre correttive, abbia deciso di aumentare nuovamente le accise sui carburanti che finiscono per tassare la vecchietta che va a fare la spesa al mercato". Magra consolazione, agli automobilisti non resta che andare a caccia degli sconti estivi offerti dalle compagnie. Anche questo week end si prevedono lunghe file ai self service.

La Bce: «Rischio insolvenza per le aziende italiane»

Le prospettive economiche per l’area euro sono tutt’altro che rosee. Nel suo bollettino mensile, pubblicato ieri, la Bce avverte che il rischio di contagio della crisi dei debiti sovrani resta dietro l’angolo. Per questo i governi devono essere pronti ad attivare i meccanismi di salvataggio, Efsf ed Esm. Solo così, come aveva preannunciato  il governatore Mario Draghi dopo il meeting del 2 agosto, la Banca centrale potrà intervenire acquistando titoli pubblici sul mercato aperto, in maniera illimitata ma concentrandosi sulle scadenze brevi. Nella regione, prevedono gli economisti del panel Bce, il prodotto interno lordo calerà quest’anno più del previsto, mentre aumenterà la disoccupazione, anche nel 2013. L’Italia intanto deve fare i conti con un nuovo segnale d’allarme: il tasso d’insolvenza delle imprese risulta infatti in aumento, al punto da meritarsi una citazione nel bollettino dell’Eurotower. Al complessivo aumento dell’incertezza ha fatto riscontro un netto deterioramento della valutazione del rischio di credito delle imprese da parte degli operatori», scrive la Bce, accendendo un faro sul nostro Paese poiché i tassi attesi di insolvenza «sono cresciuti sostanzialmente». Fra i Paesi più grandi dell’area dell’euro, si legge nel bollettino, «l’incremento è stato particolarmente pronunciato per le imprese italiane, mentre è piuttosto moderato per quelle olandesi e tedesche».

Il volume dei prestiti bancari alle società non finanziarie dell’Eurozona «ha registrato una crescita modesta dopo la temporanea ripresa della seconda metà del 2010 e il suo tasso di incremento annuo è sceso dall’1,6 allo 0,2% fra gennaio 2011 e maggio 2012». Con l’intensificarsi della crisi del debito sovrano i prestiti «hanno identificato una dinamica particolarmente fiacca nei Paesi più colpiti dalle tensioni sui mercati delle obbligazioni pubbliche». A frenare i prestiti alle imprese, tuttavia, non sarebbero soltanto i criteri più rigidi con cui le banche concedono prestiti: il fenomeno «è dovuto principalmente alla debolezza dell’attività produttiva, alla crescente incertezza del contesto economico e alla connessa moderazione degli investimenti fissi, amplificata dall’acuirsi della crisi del debito sovrano». Come aveva detto Draghi il Consiglio direttivo si attende «una ripresa solo molto graduale». Un’analisi che poggia anche sul consensus degli economisti interpellati dalla Bce. Secondo l’indagine il Pil nell’Eurozona dovrebbe registrare un calo dello 0,3% nel 2012 e una crescita dello 0,6% nel 2013. Sono state così riviste al ribasso di 0,1 punti percentuali per il 2012 e di ben 0,4 punti per il 2013 le stime di crescita. Le attese per il tasso di disoccupazione si collocano all’11,2% per il 2012, all’11,4% per il 2013 e al 10,8% per il 2014, dopo una revisione al rialzo di 0,2 punti percentuali per il 2012 e di 0,5 punti per il 2013. Sul fronte dello spread riecheggia la parola d’ordine coniata dal presidente Draghi: «L’euro è irreversibile».

Dopo l’attivazione dell’Efsf-Esm da parte dei governi dell’area euro, il Consiglio direttivo della Bce «può considerare di attuare ulteriori misure di politica monetaria non convenzionali secondo quanto necessario a ripristinare il meccanismo di trasmissione di tale politica. Nelle prossime settimane l’Eurosistema definirà le modalità adeguate per queste misure». La Bce, nell’ambito del proprio mandato di mantenere la stabilità dei prezzi a medio termine e nel rispetto della propria indipendenza, «può condurre operazioni di mercato aperto definitive di entità adeguata a conseguire il proprio obiettivo».

Windjet, non si trova l'accordo Prenotazioni a rischio


​Fallisce l'integrazione tra Windjet e Alitalia. La licenza potrebbe essere riconsegnata già oggi, con l'Enac che attenderà fino a lunedì per sospenderla. Sul fronte meteo, sarà il weekend più caldo dell'estate.

ENAC, UNITÀ DI CRISI PER RIPROTEGGERE PASSEGGERI
L'Enac ha istituito un'unità di crisi per coordinare con le altre compagnie aeree (Alitalia, Meridiana, Blu Panorama) la riprotezione dei passeggeri Windjet, con un piccolo supplemento. Lo ha annunciato il presidente dell'ente, Vito Riggio, spiegando che la situazione si chiarirà nel corso della giornata. I passeggeri che hanno prenotato un volo della compagnia siciliana e che da qui ad ottobre rischiano di ritrovarsi a terra sono, secondo l'Enac, 300mila.
L'Enac ha coordinato la rimodulazione dei voli in modo tale che venga garantita la riprotezione dei passeggeri in possesso di biglietti WindJet. Lo comunica l'ente al termine delle riunione dell'unità di crisi. L'Enac ha anche disposto che i principali scali italiani restino aperti durante la notte e che il programma dei voli di domani e dei giorni successivi venga pubblicato e aggiornato sia sul proprio sito che su quello di WindJet. I voli di riprotezione su tratte nazionali avranno un sovrapprezzo di massimo 80 euro
 

Bankitalia: debito sale a 1.972 miliardi Ma è boom di entrate tributarie: +2,1%

Il debito delle amministrazioni pubbliche, a giugno, è salito a 1.972 miliardi di euro. Lo rende noto la Banca d'Italia nel supplemento al bollettino statistico, dedicato alla Finanza pubblica, fabbisogno e debito. A maggio, il debito era di 1.966 miliardi di euro, mentre ad aprile era di 1.949 miliardi di euro. Il debito delle amministrazioni pubbliche a giugno, in pratica, è aumentato di 6,6 miliardi rispetto al mese precedente, raggiungendo un nuovo massimo storico pari a 1.972, aumento dovuto principalmente all'incremento delle disponibilità liquide detenute dal Tesoro (di 10,3 miliardi, a 46,1) e a scarti di emissione (1,7 miliardi), che hanno più che compensato l'avanzo di 5,4 miliardi registrato nel mese.

Quest'ultimo è stato ridotto (e di conseguenza il debito accresciuto) per 0,2 miliardi (1,4 miliardi nello stesso mese del 2011) dalla quota di pertinenza dell'Italia delle erogazioni effettuate dall'European Financial Stability Facility (EFSF). Al netto delle erogazione dell'EFSF, l'avanzo del mese sarebbe stato pari a 5,6 miliardi (2,6 miliardi superiore rispetto al corrispondente periodo del 2011).

Nel complesso nei primi sei mesi dell'anno, fa sapere la Banca d'Italia, il fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (47,7 miliardi) è stato superiore di 1,1 miliardi rispetto a quello registrato nel corrispondente periodo del 2011 (46,6 miliardi), aumento dovuto principalmente ai maggiori esborsi in favore degli altri Paesi dell'area dell'euro (pari, nel periodo di riferimento, a circa 16,6 miliardi, a fronte dei 6,1 nel 2011); le misure relative alla Tesoreria unica hanno comportato il riversamento da parte degli enti decentrati presso la tesoreria centrale di 9 miliardi, precedentemente detenuti presso il sistema bancario.

A GIUGNO BOOM DI ENTRATE
A giugno le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono aumentate di 2,1 miliardi (5,8%) rispetto allo stesso mese del 2011. Nei primi sei mesi sono aumentate di 3,7 mld (+2,1%). Lo sottolinea Banca d'Italia precisando che ha influito l'incasso della quota di competenza dello Stato dell'Imu e la crescita dei proventi delle accise sulle risorse energetiche.
 

Pomigliano, Fiat sconfitta: ora si aspetta il 9 ottobre

​La Corte di appello di Roma, riferisce la Fiom, il sindacato delle tute blu della Cgil, dopo la decisione del Tribunale di Roma del 21 giugno, ha deciso che è inammissibile la richiesta della Fiat di sospendere la sentenza che disponeva l'assunzione di 145 iscritti Fiom, riconoscendo una discriminazione ai danni del sindacato nelle riassunzioni dei dipendenti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco. Prosegue il giudizio di secondo grado con la prima udienza fissata per ottobre.

La decisione arrivata oggi, "è una buona notizia prima di Ferragosto", commenta Maurizio Landini, leader della Fiom: "È così confermato che Fiat debba assumere i 145 nostri iscritti, poi resta il ricorso in appello". Con la decisione della Corte di appello "credo - prosegue Landini - che da un lato si conferma che le discriminazioni quando ci sono vanno rimosse, e si conferma non solo che la Fiat ha fatto una discriminazione a Pomigliano, ma anche che la debba rimuovere assumendo i 145 nostri iscritti. A questo punto è necessario che la Fiat dia corso alle assunzioni, altrimenti saremo di fronte all'ennesima violazione e credo che a quel punto sia le forze politiche che il governo non potrebbero continuare a stare zitti".

In serata un comunicato precisa la posizione di Fiat: "Il prossimo 9 ottobre la Corte di Roma deciderà l'appello proposto da Fabbrica Italia Pomigliano sull’inusitata pronuncia con cui il Tribunale di Roma ha imposto alla Società di assumere 145 operai solo perché iscritti alla Fiom. Oggi è stata adottata una decisione semplicemente tecnica, avendo la Corte ritenuto che, in assenza di atti concreti da parte della Fiom volti ad ottenere l'esecuzione della pronuncia del Tribunale di Roma, non vi fosse alcuna necessità di un provvedimento che ne sospendesse l`efficacia. Proprio sulla base di questa pronuncia rimane confermata la possibilità di Fabbrica Italia Pomigliano S.p.a. di chiedere nuovamente un provvedimento di sospensione qualora nei prossimi giorni la Fiom dovesse decidere di attivare strumentalmente iniziative di esecuzione prima della imminente decisione di merito della Corte romana".

​Wind Jet non risponde Oggi ci prova il governo

Wind Jet tace. Negli aeroporti su cui volava, centinaia di quelli che sarebbero dovuti essere suoi passeggeri aspettano di capire su quale aereo sostitutivo possono infilarsi (e quanto devono spendere per avere l’agognato posto); nello scalo di Catania, che era la sua base, i suoi 504 dipendenti sono in assemblea per discutere assieme del loro futuro. Sono in assemblea anche i lavoratori di Katane Handling, la società che gestisce i servizi da terra e che, cancellati tutti i voli, ha ben poco da fare. Ma dalla low cost di Antonino Pulvirenti nessuno dice nulla, come se la smobilitazione della compagnia fosse ormai cosa fatta. D’altra parte sembra che quasi tutti gli Airbus del gruppo siano già ripartiti per l’Irlanda, dove li aspettava l’azienda da cui Wind Jet li aveva presi in leasing. Uno di quegli aerei è invece bloccato a Catania: la Sac, la società che gestisce l’aeroporto, ha chiesto e ottenuto il sequestro del velivolo come garanzia sui crediti che le spettano.

Il silenzio di Wind Jet potrebbe continuare anche oggi. E sarebbe un bel problema per Corrado Passera, che ha convocato l’azienda, Alitalia, l’Enac e gli enti locali coinvolti per cercare di rilanciare la trattativa che stava portando il vettore siciliano all’interno del gruppo Alitalia. Il rischio è che i dirigenti di Wind Jet rispondano alla chiamata del ministero così come avevano risposto alla doppia convocazione arrivata dall’Enac la scorsa settimana: non presentandosi. In quel caso l’incontro tra Passera, Alitalia, l’Enac e qualche rappresentante degli enti locali siciliani perderebbe il principale protagonista. Potrebbe essere pretattica, ma Alitalia sembra avere abbandonato l’idea di prendere il controllo del vettore catanese. Ieri è emersa una email scritta dall’amministratore delegato Andrea Ragnetti e diretta ai dipendenti in cui il manager considera la vicenda chiusa. «Purtroppo, i comportamenti di Wind Jet ci hanno costretto a rinunciare a un accordo per il quale ci eravamo impegnati a fondo – scrive Ragnetti –. Se non lo avessimo fatto, avremmo esposto la nostra compagnia a un rischio finanziario intollerabile per una azienda che attraversa un momento così duro come Alitalia».

Difficile che Alitalia pensi di rilevare Wind Jet da un’eventuale bancarotta. E all’orizzonte non si vedono altri possibili compratori. Vito Riggio, il presidente dell’Enac, non si fa troppe speranze. «Si devono trovare dei soldi – ha spiegato in un’intervista –. Ma siccome i soldi non si trovano il salvataggio della compagnia lo vedo improbabile». Nel crollo di Wind Jet, Riggio vede concretizzarsi i rischi di cui aveva parlato solo poche settimane fa, all’assemblea dell’Enac: «L’intero sistema dell’aviazione civile italiana è a rischio scomparsa, stretto dalla pressione competitiva che viene dalle compagnie low cost irlandesi e inglesi (che non pagano lo stesso volume di tasse che paghiamo in Italia) e dalle compagnie dei Paesi arabi che non pagano il petrolio».

Ma forse è proprio da quelle low cost che ormai dominano i cieli europei che Catania e la Sicilia possono ritrovare le rotte lasciate scoperte da Wind Jet. Ryanair, in particolare, per ora in Sicilia copre la costa più occidentale, con Palermo e Trapani, ma non quella orientale. L’inglese easyJet ha già dei voli su Catania (rotte su Milano, Londra, Parigi e Ginevra) e potrebbe approfittare del vuoto lasciato dal vettore siciliano per allargare la sua presenza. Per entrambe le compagnie l’Italia è un mercato molto importante, e i vettori low cost sono sempre molto sensibili alle occasioni che arrivano sotto forma di agevolazioni (pubbliche o private). Proprio quelle che già sta promettendo la Sac, la società che gestisce lo scalo catanese: «Al prossimo consiglio di amministrazione, che si riunirà il 20 agosto, proporrò di applicare agevolazioni a quelle compagnie aeree che, venendo a Catania, assumano il personale ex Wind Jet ed utilizzino i lavoratori del suo indotto» ha garantito il presidente Gaetano Mancini.

Siccità e speculazione il business della fame

​Lo spettro della crisi alimentare torna ad aggirarsi nel mondo. Un mix di condizioni climatiche avverse e di speculazione sui mercati dei derivati sta facendo correre i prezzi delle materie prime alimentari verso nuovi record. Rischiando di riproporre una crisi paragonabile, se non peggiore, a quella del 2008, quando intere popolazioni vennero ridotte alla fame dal boom dei prezzi del cibo.

La sirena ha incominciato a suonare da qualche mese, al manifestarsi dei primi segnali di tensione sui mercati, ma è soprattutto con la siccità che sta colpendo il Midwest americano, il granaio del mondo, che la paura ha incominciato a prendere corpo. E in serio pericolo c’è in particolare quel miliardo di persone che nel mondo vive a stretto contatto con la fame, le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo dove la spesa per il cibo copre il 70-80% del bilancio familiare.

I prezzi alimentari in generale, registrati dall’indice Fao, sono cresciuti, solo a luglio, del 6%, il maggiore incremento dal novembre 2009. Il mais è aumentato del 40% dal maggio scorso, il grano del 35%, la soia del 20%. Il riso del 10%. Non siamo ancora ai livelli record raggiunti nel febbraio 2011 dall’indice Fao, ma la velocità con la quale i listini stanno correndo indicano che manca veramente poco a coprire quel 10% che ancora manca al livello massimo. L’effetto che le variazioni dei prezzi del cibo hanno sui popoli è immediato e devastante. Con un 10% di aumento, 10 milioni di persone finiscono quasi automaticamente sotto la soglia di povertà.

Le ragioni di queste fiammate sono legate a diversi fattori, alcuni strutturali, altri contingenti, altri di mero interesse. Fao e Ocse nel loro ultimo rapporto indicano che per far fronte all’aumento della domanda di cibo la produzione agricola dovrebbe crescere del 60% nei prossimi 40 anni, mentre al contempo segnalano che nei prossimi dieci anni i prezzi potrebbero crescere dal 10 al 30%. Il problema è che quest’anno la produzione mondiale di cereali calerà di 23 milioni di tonnellate, quella del mais di 25 milioni. Il taglio è dovuto in particolare a condizioni climatiche avverse nel mondo. La siccità negli Stati Uniti è la peggiore da almeno 25 anni, e a questo si sono aggiunte le alluvioni in Russia e le piogge eccezionali in Brasile, che danneggiando gran parte dei raccolti hanno ridotto la produzione.

Il problema è che questi fattori vengono cavalcati dalla speculazione, la stessa all’origine della crisi del 2008. Esattamente come quattro anni fa, quando le Borse erano depresse dallo scoppio della bolla dei mutui subprime, i capitali speculativi dei grandi fondi di investimento stanno cercando buoni rendimenti e facili occasioni di guadagno. Le Borse delle materie prime, proprio per le condizioni di fragilità del settore agricolo, sono un obiettivo che ripaga. Gli strumenti con i quali si specula sono i contratti derivati: inventati per proteggere gli agricoltori dalle variazioni dei prezzi, dopo la deregulation del 2000 sono dilagati oltre misura. Nel 1996 solo il 12% dei contratti sul grano era di natura speculativa, oggi ben il 65% degli scambi di future avviene per opera di soggetti che non hanno nemmeno un sacco della materia prima. Con l’80% dei contratti che è scambiato fuori dalle Borse vigilate. Questo non è solo speculare sulla fame, è alimentarla.

 

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